Martedì abbiamo assistito tutti, almeno quelli che hanno visto la trasmissione di LA7 “di martedì”, di Giovanni Floris, all’intervista che l’ex conduttore di Ballarò ha proposto a vari esponenti del mondo del giornalismo e della politica. Personalmente non giudico le parole di Eugenio Scalfari o i propositi di Luigi Di Maio candidato alla presidenza del Consiglio del M5s, mi soffermo invece sulle risposte o almeno alcune delle risposte, di Pier Luigi Bersani. L’esponente politico a mio giudizio rappresenta l’elemento di continuità tra l’esperienza da mettere in campo e la lucidità di pensiero che in alcuni momenti deve essere garantita in un gruppo politico che ha radici lontane e vuole rimettere in campo un’idea. Alla domanda esplicita del perché “Liberi e Uguali”, non si è alleata e non si alleerà con il PD e il finto centrosinistra germogliato intorno al partito di Renzi, composta di simboli che tutti quanti messi insieme non raggiungeranno la soglia del 3%. Le stesse parole del prof. Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo e promoter oggi di un centrosinistra unito quando, qualche tempo fa, di Matteo Renzi, aveva davvero poca stima politica. Bersani risponde alla domanda trabocchetto di Floris “Perché il PD non è più un partito di sinistra, ha votato l’Italicum (precedente legge elettorale), ha votato il Rosatellum (attuale legge elettorale), con il centrodestra, in particolare Forza Italia e Lega Nord di Salvini, con gli stessi governerà dopo, come ha fatto prima”. Bersani inoltre ha affondato il coltello sulle scelte delle candidature del PD alla Camera e al Senato “Significa essere di sinistra quando non si rispetta la minoranza di sinistra rappresentata da Orlando (Ministro della Giustizia), Emiliano (Governatore della Regione Puglia), candidando tutti i fedelissimi nei collegi sicuri, proponendo i rappresentanti della minoranza nei collegi in bilico, Gianni Cuperlo è l’esempio migliore e si deve sottolineare la dignità con la quale l’ottimo rappresentante della sinistra del PD abbia chiesto, di non essere candidato?”. Altra esclusioni eccellenti, ricordiamo per dovere di cronaca, quella dell’ex Portavoce di Massimo D’Alema quando era Presidente del Consiglio Nicola La Torre, Ermete Realacci da sempre esponente del mondo ambientalista e di Luigi Manconi storico rappresentante dei Verdi, mentre si candida a Bologna Pierferdinando Casini da sempre rappresentante del centrodestra. Allora, come non dare ragione a Bersani quando dice “Quando fui eletto Segretario del PD, il mio competitor Franceschini divenne Capogruppo alla Camera”. Chiaramente l’imbarazzo di Floris era palpabile e probabilmente in quel momento in tanti hanno riconosciuto a Pier Luigi Bersani quel gesto che ebbe il carattere dell’equilibri e della saggezza politica. In politica da sempre non è criticando le scelte degli altri che si ottengono successi elettorali. Il primo atteggiamento di uno statista che si candida a guidare una comunità è quello di costruire un sogno, come diceva il filosofo liberale Popper, una speranza, ma da qui a proporre ricette assurde o proposte che mai si realizzeranno ce ne passa acqua sotto i ponti. Chiaramente Floris ha eluso le cose che erano evidenti del fallimento di Renzi e che hanno determinato la scelta della fuoriuscita dal PD di Bersani e la conseguente nascita del gruppo politico Articolo Uno Mdp, oggi confluito in Liberi e Uguali. Parlo chiaramente della sconfitta al referendum del 3 dicembre 2016 e della fatidica frase di Renzi, pronunciata all’unisono da Matteo e Mariaelena “Se perdiamo il referendum, mi ritiro dall’attività politica”. In tanti altri pronunciarono la stessa frase ma si sono tenuti ben lontani dal mostrare solidarietà ai due malcapitati rappresentanti del cerchio magico toscano. Da quel momento, da quel preciso istante, dal referendum che lui volle caratterizzare sulla sua azione politica e non sullo spirito con il quale fu proposto, Matteo Renzi, agli occhi degli italiani, ha una parola che conta davvero poco. E’ pur vero che già in passato qualcuno aveva pronunciato qualche frase rimangiata: “Non prenderò più una tazzina di caffè con Umberto Bossi”, frase pronunciata da Gianfranco Fini. Solo per dovere di cronaca bisogna dire che, l’unico che si dimise da Presidente del Consiglio dopo una sconfitta elettorale, per la precisione le Regionali del 2000. Appare chiaro che la frattura consumata tra il PD e Liberi e Uguali ha ragioni più profonde che non le sole questioni legate alla seggiola. Una politica che oserei definire “liberale” e voglio essere generoso, ha allontanato il mondo dei lavoratori, della scuola, dai giovani dalla sinistra e il pericolo reale, ripete Bersani a Floris, che quei voti non sono dei moderati popolari, come accaduto in Europa, i voti andranno ai populisti e in Italia ce ne sono per tutti i gusti e tutte le età. Altri interventi su temi specifici li analizzeremo pubblicando i punti del programma del Movimento “Liberi e Uguali”. Bersani appare oggi essere il migliore comunicatore del gruppo guidato da Piero Grasso e sono convinto che in tanti si convinceranno che la scelta di rimettere in campo “la sinistra”, la sua cultura, i suoi valori, i suoi uomini, le sue donne, sarà nel tempo vincente e la lotta è appena iniziata. Allora facciamo come Bersani un tempo, rimbocchiamoci le mani e andiamo avanti.