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Le follie di generazioni smarrite

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Studenti e cittadini durante il corteo di solidarietà ad Arturo, il 17enne ferito due giorni fa, a Napoli, 22 dicembre 2017. ANSA/CIRO DE LUCA

Dando un’occhiata ai commenti, agli incitamenti, alle pacche virtuali sulle spalle che gli amici rivolgono tramite Facebook al quindicenne accusato dell’aggressione ad Arturo, lo sfortunato ragazzo napoletano accoltellato quindici giorni fa, viene naturale chiedersi quale direzione stia prendendo la nostra comunità.

Non che manchino gli elementi per farsi un’idea dei soggetti in questione: pose da duri e sguardi di sfida, foto con pistole, frasi di incoraggiamento e solidarietà, linguaggio da branco. La detenzione, a prescindere dalla colpevolezza o meno, sembra quasi una medaglia da appuntare al petto. E ovviamente nessun invito a riconoscere la gravità di quanto accaduto.

Della vicenda di Arturo d’altro canto ciò che colpisce di più è proprio l’insensatezza. Gli aggressori non avevano alcun motivo per colpire la loro vittima. Non che un movente possa giustificare, ma almeno fornirebbe una spiegazione a un gesto tanto efferato quanto crudele e assurdo. Il diciassettenne napoletano, ancora in ospedale, non del tutto fuori pericolo, ha dichiarato invece di non aver mai avuto a che fare con i quattro colpevoli. Non li aveva mai nemmeno visti.

Il nodo della questione è tutto qui. I farabutti hanno sentito il bisogno di accoltellare una vittima casuale, in un pomeriggio di dicembre, per strada, sotto gli occhi di tutti. Noia? Svago? Pazzia? Difficile a dirsi.

Chi ritiene questo episodio figlio della furia di qualche cane sciolto, sottovaluta un problema che è già gigantesco. E d’altro canto i messaggi dei “tifosi”  citati prima lo testimoniano ampiamente. Il dramma delle ultimissime generazioni, nel loro insieme, è la semplicità con cui si ricorre alla violenza, fisica e verbale, in tantissimi contesti. L’ignoranza sempre più dilagante. La scarsa capacità di concentrarsi su qualsiasi questione che richieda un minimo sforzo. Continuamente distratti dai più svariati aggeggi tecnologici, con un numero sempre inferiore di punti di riferimento, cresciuti in famiglie che il più delle volte delegano ad altre istituzioni, scuola in primis, le basi e i fondamenti dell’educazione, che invece dovrebbero essere impartiti fin dalla più tenera età già dentro casa, i ragazzi sembrano non avere limiti nel confronto con gli altri, con le altre generazioni, con le regole della vita civile. Tutto sembra concesso e scontato, e una parola che ha sempre caratterizzato i rapporti tra le persone, rispetto, sembra aver del tutto smarrito il suo significato, come se sbiadisse in una lenta trasfigurazione: il rispetto non è più quello dovuto agli individui che ci circondano, ma quello preteso con la forza e l’arroganza, il rispetto alla Gomorra. E tutte queste caratteristiche e questi aspetti diventano più facilmente riscontrabili in contesti sociali medio-bassi, in cui livelli di istruzione inferiori agevolano la diffusione di pessimi modelli di comportamento.

Il problema non è se Gomorra inciti alla violenza o meno, perché la serie rappresenta uno spaccato della società napoletana che già esiste. Bisogna capovolgere il discorso: non è Gomorra a peggiorare fette di giovani napoletani, sono i ragazzi, e non solo, a essere impreparati nei confronti di questo prodotto televisivo e culturale. Ragazzi che nascono e crescono in microcosmi già marci, corrotti, eticamente putridi. Microcosmi in cui figure come killer e spacciatori sono davvero modelli di vita, in cui beccarsi un proiettile è segno di virilità da sfoggiare, in cui ogni controversia si risolve quantomeno con le botte, spesso con coltelli e armi da fuoco. Microcosmi in cui i più giovani maturano una distorta visione di bene e male, di giusto e ingiusto, in cui per certi versi e sotto alcuni aspetti il diritto è al contrario: c’è la certezza della non pena, c’è la convinzione dell’impunità, vige l’idea che alla fine si riesca sempre a farla franca. Da tutto questo vengono fuori stili di vita che sono davvero difficili da raddrizzare, un circolo vizioso di comportamenti ed esempi che inevitabilmente modificano in una direzione pericolosa le menti dei ragazzi. E queste tendenze, certamente non riferibili alla totalità dei giovani napoletani, sono però spaventosamente in aumento.

Dietro quelle coltellate c’è ben altro. Ci sono generazioni che si stanno progressivamente smarrendo nell’insensatezza. Una tragedia collettiva silenziosa, recitata e vissuta nel disinteresse quasi assoluto.

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