Da parecchio tempo oramai l’immagine dei giovani è quella del disagio: incertezza per il futuro, precarietà psicologica, ricerca di spazi espressiviautonomi, spinta alla trasgressione e all’evasione. Si estende la cultura
dell’estranietà, per cui si può stare dentro il sistema ma vivere con la testa
altrove, con giganteschi vuoti di memoria, dove ci si sente vivi solo negli spazi
e nelle pratiche alternative. Sono venuti meno nel tempo le figure e i luoghi di
mediazione tra bisogni individuali e istanze della collettività, c’è grande
incertezza nelle famiglie, nelle scuole, nella vita associativa, su quali valori e
mete proporre ai giovani, e sovente si interpreta l’azione educativa come
semplice accompagnamento, senza far maturare proposte. Nelle istituzioni non
si riesce ad affezionare i giovani alla vita sociale e la partecipazione attiva non è
più un valore da costruire giorno dopo giorno. Non è facile educare in una
società complessa, caratterizzata da modelli culturali contraddittori, dove
spesso, lo stesso pluralismo culturale indica la difficoltà di trovare un minimo
comune denominatore a livello educativo. Gli stessi giovani, altre volte,
tendono a mettere tutte le proposte sullo stesso piano, e vivono le appartenenze
in maniera passiva, piuttosto che nella piena identificazione. In passato dalla
sfera politica si attendeva la soluzione e la risposta a tutti i problemi sociali, ma
la politica, e in particolare i suoi uomini, sono risultati impari alle aspettative, di
qui la delusione sopravvenuta per chi nella politica aveva riposto ogni speranza.
Si è aggravato il distacco tra lo Stato e i bisogni dei cittadini, determinando
soprattutto tra i giovani, la diffusa idea che l’impegno politico sia una cosa
sporca, e che sia meglio per le persone oneste non occuparsene, almeno nelle
forme di coinvolgimento diretto. Inoltre le degenerazioni partitiche, la caduta
delle ideologie e la crisi di progettualità in campo educativo hanno ulteriormente contribuito a tenere lontani i giovani dalla scena dell’impegno
socio-politico. La politica giovanile è poi praticamente inesistente, i giovani che
hanno degli ideali politici sono pochi al giorno d’oggi e non vengono spronati
affatto, la vivono come un qualcosa di lontano, inarrivabile e che non gli
appartiene, d’altro canto i politici non fanno nulla per incentivare la loro
partecipazione, pochi sono i leader di partito che ascoltano proposte. Una cosa
che accomuna tutti i giovani, qualsiasi sia il ceto sociale dal quale provengano,
è la sensibilità con la quale avvertono tutti i difetti della nostra società; ad
esempio si continua a vivere in famiglia molto più a lungo, perché non si ha la
certezza di un lavoro stabile e, di conseguenza, si vede in un futuro sempre più
lontano l’inserimento nel vero mondo del lavoro, quello fatto di diritti e doveri.
Queste incertezze sul proprio futuro, l’impossibilità di considerarlo davvero
come il tempo in cui si realizzerà il loro desiderio di indipendenza, li portano a
essere rinunciatari rispetto all’impegno necessario, per realizzare la crescita di
una società che sembra non attenderli. Proprio questa è una delle ragioni per la
quale i giovani d’oggi non cercano più nei partiti risposte ideologiche e non
guardano più come i loro padri ai leader della politica come bandiere dietro la
quale militare ma, chiedono una visione nella quale credere, un modello nel
quale identificarsi e si aspettano risposte concrete insieme a proposte che
parlino di certezze. Le promesse non mantenute, gli scandali, l’opportunismo, i
giochi di potere, queste sono le ragioni per la quale regna lo scetticismo tra le
nuove generazioni che sono diventate il soggetto escluso da una politica e una
cultura nate e cresciute in un mondo parallelo all’universo giovanile.
“Purtroppo, il dramma dell’assuefazione all’esilio minaccia anche noi cristiani.
Ci stiamo adattando alla mediocrità. Accettiamo senza reagire gli orizzonti dei
bassi profili. Viviamo in simbiosi con la rassegnazione. Ci vengono meno le
grandi passioni. Lo scetticismo prevale sulla speranza, l’apatia sullo stupore, l’immobilismo sull’estasi. La nostra religiosità incolore si stempera in gesti
stereotipi, in atteggiamenti etici senza entusiasmo, in pratiche rituali che hanno
il sapore delle minestre scaldate nelle pentole d’Egitto. Più che essere schiavi
dell’abitudine, abbiamo contratto l’abitudine della schiavitù” Da ciò dobbiamo
capire che bisogna ridare fiducia ad una generazione che fa fatica ad affacciarsi
in questa società. Bisogna eliminare questo pessimismo ascoltando le loro
ragioni e dare loro il modo di esprimersi e ridandogli quelle certezze che danno
la forza di continuare a credere nella politica. C’è bisogno di una svolta, solo
così si potrà contare sull’appoggio dei giovani e solo così si potrà dare alle
nuove generazioni la speranza di un futuro migliore, perché i giovani hanno
bisogno della politica ma anche la politica ha bisogno di tutti i giovani. Per cui
si rende necessario trovare delle nuove convergenze tra ideali, esigenze
concrete e stili di vita, tra il credere e l’operare; forse non si tratta di fare delle
cose, ma di fare delle scelte, che investano campi nuovi e progetti con itinerari
educativi, si tratta di “portare la politica nei cantieri e la tuta da lavoro in
parlamento.”