Uscire dalla palude potrebbe sembrare un titolo di un film thriller, accattivante e ricco di colpi di scena, in realtà è ciò che sta vivendo il SSN.
Un sistema che stagna proprio come in una palude, allo stato, a noi cittadini il dovere di difendere tale caposaldo di uno stato che vuole essere di diritto.
Tra i tanti motivi che hanno condotto in questa crisi c’è da dare rilievo alla errata programmazione ed organizzazione di piante organiche del personale sia medico che parasanitario, spesso ed ormai ordinariamente si è costretti a sopperire con sovraccarichi di lavoro solo per poter assicurare l’assistenza primaria.
Ciò sia traduce in un “burn out” del personale interessato, in cui la richiesta di assistenza di cure trova incontro con un personale sanitario stanco, stressato che preferisce il privato onde evitare lo stress, i fine settimana, i giorni di festa, le notti, con la speranza di ritrovare serenità nella propria organizzazione di vita e programmazione del proprio tempo.
Altro punto, di fondamentale importanza e riguarda la organizzazione della rete di cura.
È necessario rinforzare, organizzare, rivitalizzare, efficientare il territorio magari mediante una rete unica e sinergica con i presidi ospedalieri, da rendere il percorso del paziente un continuum di presa in carico dal territorio all’ospedale.
La medicina territoriale deve riprendere il filo conduttore della risposta alle richieste di cura come le patologie a medio / bassa intensità e la cura delle riacutizzazioni di patologie croniche conosciute. Da troppo tempo ormai in nome del Dio della spending review si è burocraticizzato il territorio focalizzato solo ai costi e a non sforare nelle spese assistenziali.
A cascata un territorio carente, genera un ospedale sovraffollato, disorganizzato in cui saltano tutti i percorsi di cura. L’ospedale non può per vocazione e per mission, limitarsi ad essere il vuotatoio sociale di istanze di assistenza e cura di tutta la comunità.
Non si può scaricare negli ospedali tale aspettativa e pretesa.
Un ospedale che destina fondi e tempo per l’assistenza di patologie spesso non di pertinenza ospedaliera, è un ospedale che non può assicurare eccellenza a patologie di pertinenza ultraspecialistica e a vocazione urgentistica.
Come uscirne? Dai fondi destinati dal PNRR alla sanità vi sarebbero la creazione delle case ed ospedali di comunità, che concettualmente sarebbero struttura atte a tappare le falle dell’assistenza territoriale, ma al dì là dei buoni presupposti, attualmente sono cattedrali nel deserto.
Per l’attivazione servirebbe personale medico e parasanitario esorbitante, introvabile, servirebbero strutture idonee ad ora di difficile reperimento, con costi davvero improbi per qualsiasi stato appartenente al G8 e non per ultima, come considerazione tali fondi andrebbero sfruttati entro il 2026.
Solo nella nostra Campania servirebbero migliaia di medici ed infermieri, considerando che la casa di comunità dovrebbe essere attivata una ogni 40/60 mila abitanti.
Pertanto, se la soluzione sia quella di aspettare l’avvio delle case e degli ospedali comunità dovremmo aspettare anni ed anni e con risultato dubbio, perché allora non trovare soluzioni più rapide e meno costose?
In ultimo e non per ultimo, stiamo vivendo un disarmo emotivo e professionali degli operatori del mondo sanitario.
Non si tratta di una mera questione economica seppur anch’essa rivedibile, ma soprattutto di una questione di natura etica e morale. In nessun paese civile la professionalità deve essere mortificata, svilita dalle aggressioni fisiche e personali, non si può subire il tribunale della gogna mediatica come se ci fosse volontà premeditata di lavorare recando danno altrui. I fallimenti nel tentativo di cura sono esse stesse interiorizzate tristemente dal curante, ebbene che questo concetto sia chiaro.
Non lavorare in sicurezza, in luoghi non idonei incattivisce, rende fragili, rende insicuri.
A ciò si aggiunge il calvario del lungo corso di anni nell’affrontare aule di tribunale per processi civili e fortunatamente raramente penali, il più delle volte processi chiusi in un nulla di fatto.
Quel nulla di fatto non è così nell’accusato. Anni di tensioni, di incertezze, di tentazione a voler lasciare tutto per non risubire ancora una volta tanto calvario, porta alla perdita della determinazione ed alla responsabilità di cura verso l’utenza.
Essere audaci e tempestivi per cosa? Per ritrovarsi in un’aula di tribunale?
L’atto della depenalizzazione medica, che è allo studio in questo periodo parrebbe essere un primo passo, verso una inversione di tendenza, sicuramente è poco ma è altrettanto vero che ogni lunga conquista parte sempre dal primo passo.
Una società più giusta, equa e solidale non può prescindere da una Sanità migliore.
Una sanità migliore rende una popolazione più sana, una popolazione più sana costruisce una società più solidale.
Una società più solidale dobbiamo lasciare come testimonianza alle future generazioni come testimonianza della nostra presenza.
L’ora del tatticismo e dei proclami roboanti ed afinalistici è terminato. È l’ora delle scelte e dell’azione.